L'ingrediente segreto di Patrizia Emilitri

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Le patate mi guardano dalla retina. Le immagino come studenti in una classe davanti alla professoressa acida che scorre con il dito il registro per l’interrogazione.

-Toccherà a me finire in pentola oggi?-

-Gnocchi per due, mica ci può usare tutte, ne bastano quattro o cinque-.

Il coltello affonda la fascetta e le patate cadono sul piano del tavolo. Tre, solo tre e allora pesco a caso, con gli occhi chiusi le altre tre. Non voglio vedere la faccia di quelle che metterò accanto alle compagne quando le prenderò.

«Lo sai Erica, non è un giorno che può fare la differenza» aveva detto Enrico quella mattina.

«Nove anni Enrico, nove anni» avevo risposto con le lacrime agli occhi.

Nove anni di matrimonio e una serata per dirmi che è finita, per giurarmi che non c’è un’altra donna, non è così meschino lui, ma solo che non prova più nessun sentimento per me.

E allora io lo prego, lo scongiuro di no, di aspettare qualche giorno, di parlare ancora, di ricordare chi siamo, chi siamo stati e chi vogliamo essere.

«Ci siamo scelti Enrico, ricordi?»

«Sì, ricordo e ricordo un sentimento che non provo più».

Lo sbuccia patate è come sempre nell’ultimo cassetto, sul fondo, tra cacciaviti e bacchette per le tende, qualche notes e un paio di elastici. L’ordine non è un mio pregio. Qual è un mio pregio? In questo momento nessuno ma una cosa la so, Enrico adora i miei gnocchi al ragù e stasera ha accettato di tornare a cena.

Le patate sono sbucciate e le lascio sotto l’acqua corrente per sciacquarle per bene.

Intanto metto l’olio nella pentola per il ragù, lascio che si scaldi prima di metterci cipolla, sedano e carota tritati. Il profumo intenso di verdura mi accarezza subito le narici.

Mia nonna me lo diceva sempre “il mio ragù sveglia l’amore e scalda l’anima, tesoro mio e solo a te insegnerò la ricetta, il mio ingrediente segreto”.

Quanto tempo è che non faccio gnocchi e ragù?

Anni. Il lavoro, tanto, e il tempo, poco, mi hanno tolto la possibilità di cucinare come so fare bene grazie alla mia nonna.

Se avessi avuto un bambino probabilmente sarei rimasta a casa a badare a lui e a Enrico. Ne volevamo tre. Non ne è venuto nemmeno uno e non verranno mai. Lo hanno detto sei dottori diversi, sei esperti. Sei. Non riuscivo a convincermi.

E dopo che mi sono convinta non era più necessario che pensassi a badare a qualcuno. Nemmeno a me stessa. Piatti pronti, solite cene in silenzio, spesa settimanale al supermercato.

E ho dimenticato le parole della nonna.

Grande errore.

Le verdure sfrigolano, una leggera crosticina le dice pronte per ricevere la carne di manzo tritata non troppo fine, non troppo grossa. Ecco, ora abbasso la fiamma, metto il coperchio e lascio che la carne rosata rilasci tutto il suo liquido, poi toglierò il coperchio e lascerò evaporare prima di mettere la salsa di pomodoro e concludere la cottura.

Posso dedicarmi alle patate. Ci vorranno almeno due ore di cottura lenta perché la carne sia pronta…uno spruzzo di vino rosso, non bianco , diceva la nonna -. il bianco non è un colore per il sugo, il rosso lo è, il colore dell’amore- e adesso poso il coperchio.

Sul mobile mi guarda una busta della banca. La banca dove Enrico è direttore di filiale da un anno. Il giorno della promozione arrivò con un fascio di rose e due biglietti per un fine settimana a Parigi.

«Accidenti » ho detto, per questo week-end ho già promesso a Lavinia che sarei andata alle terme con lei per la presentazione dei nuovi prodotti-..

Potevo farne a meno, potevo non andarci. In fondo io sono solo una commessa di profumeria. La profumeria è di Lavinia, lei ci doveva andare per forza ma io no. Però mi piaceva l’idea di piscine d’acqua calda e massaggi.

«Non importa, domani me li faccio rimborsare».

«Magari un’altra volta» gli ho detto.

«Un’altra volta, sì» ha risposto

Non c’è mai stata un’altra volta. Non ce lo siamo più ricordati quel viaggetto.

Riempio la pentola con acqua fredda –più è fredda e meglio è, il freddo del cuore che va riscaldato con pazienza, lentamente-. Un pizzico di sale e la fiamma a metà.

Ho tempo per una doccia e una maschera su viso e capelli. Metterò l’abito verde scollato. Me l’ha regalato Enrico lo scorso Natale. Io lo preferivo nero, perciò non l’ho ancora indossato, non ho mai trovato l’occasione per un abito verde.

L’acqua scivola sul mio corpo ancora giovane e sodo. Nessuna gravidanza a minarne la tonicità, una giusta e corretta alimentazione a base di verdura cruda, perché per cuocerla ci vuole tempo, e un po’ di ginnastica in palestra tre volte la settimana. Ho trentatrè anni e sembro una ragazzina. Forse sono una ragazzina e non solo per l’aspetto fisico.

Sapone alla vaniglia e crema per il corpo nutriente al miele. Un mix di profumi che resiste per ore. Anche se, prima di cena, farò un’altra doccia, giusto per ravvivare la pelle.

La maschera al mirtillo tira sul viso, soprattutto quando alzo il coperchio del ragù e una nuvola di vapore mi fa socchiudere gli occhi. Lascio il coperchio sul ripiano, è ora che la carne si asciughi.

–Lascia che tutto il superfluo esca dal sapore, che tutto ciò che non serve se ne vada – diceva la nonna – resterà solo l’anima-.

Le patate sono quasi pronte – non troppo molli, non troppo dure, come le convinzioni, le idee, i giudizi-.

E lo schiacciapatate dove sarà? Naturalmente nell’ultimo ripiano dell’ultimo mobile in cui guarderò. Infatti. Toh, ecco dov’era finita la tessera punti del benzinaio. Scadenza 18 ottobre 2006. È davvero un po’ che non ci guardo qui, visto che oggi è il 30 agosto 2011.

Nemmeno le ferie abbiamo trascorso insieme quest’anno.

«Il direttore non può lasciare la banca vuota nel mese di agosto» aveva detto Enrico.

«Ma io dopo non posso e prima nemmeno. Prima devo vendere quintali di prodotti solari e dopo abbiamo presentazioni per tutto il mese di settembre» avevo risposto.

«Non importa, andrò a trovare i miei a Reggio Emilia, starò un po’ con loro» aveva detto Enrico e io avevo venduto davvero quintali di prodotti solari, però avevo tenuto per me qualche flacone dei migliori per la settimana a Formentera con Lavinia. Ci siamo divertite un sacco, il. ferragosto a Ibiza è durato tre giorni.

Raffreddo le patate sotto l’acqua –lascia che raffreddino per bene, come i momenti di rabbia, di delusione, di dolore-. In bagno mi sciacquo il viso che appare più lucido, più giovane, sembra e lo sembrerà per qualche minuto, non di più.

Schiaccio la prima patata e un gomitolo di fili morbidi scende nella zuppiera. La giuste dose di farina, il giusto numero di uova – perché tutto ha una sua misura, ricorda che la vita è fatta allontanamenti e riavvicinamenti perché la vita mantiene sempre le giuste distanze-.

Ancora un pizzico di sale.

Mescolo con il cucchiaio di legno e lascio riposare – riposo e pazienza tesoro, ricorda…-

La carne è pronta, asciutta al punto giusto e il pomodoro la avvolge come un abbraccio. Lentamente lascio che la ricopra e con il tempo, ancora un paio d’ore, si unisca a lei in un unico sapore, per sempre indivisibile.

Affondo le mani nell’impasto e lo estraggo dalla zuppiera, lo lascio cadere sull’asse che la nonna ha voluto che tenessi io – per la tua nuova casa qualcosa di vecchio, di antico, di tuo. Qualcosa che ti ricordi da dove vieni e chi sei-.

L’ho dovuto lavare per bene perché Enrico lo aveva messo in un angolo del garage.

«Impaccia» aveva detto quando ci aveva inciampato per l’ennesima volta.

Un impaccio. Forse sono io l’impaccio, o almeno così lui pensa. Altrimenti perché vuole andare via? Perché non mi vuole più? Avrei dovuto dirgli che no, l’asse non impacciava, come non impacciava quella lampada che però, davvero, non s’intonava con l’arredamento. Era la lampada del suo comodino di ragazzo. Ma era orribile. L’ho data alla pesca di beneficienza dell’oratorio sei anni fa. Chissà chi se l’è presa.

Spargo la farina con il gesto della semina sul ripiano di legno chiaro. Il sugo sobbolle allegro nella pentola, abbasso ancora un po’ la fiamma.

Con le dita lavoro l’impasto. Faccio dei cilindri spessi un dito – il dito anulare, la misura è quella, il dito dove una sposa riceve la sua promessa d’amore, il dito dell’anello per sempre, davanti a Dio e agli uomini-.

Taglio con il coltellino piccoli pezzetti e poi impugno la forchetta, la infarino e faccio rotolare ogni pallina sui rebbi – scivola e via, scivola e via, come i giorni della tua vita, saporiti e gustosi, in attesa del sugo che li completerà, saporiti e gustosi-.

Finito. Gli gnocchi sono pronti, in attesa, ben disposti in file sul ripiano infarinato.

Finito. Il sugo sarà pronto a momenti e a momenti Enrico entrerà dalla porta con la convinzione che sarà l’ultima volta. L’ultima volta come marito, forse resteremo amici. No, forse diventeremo amici perché fino a questo momento non lo siamo stati. Siamo stati innamorati, amanti, coniugi, ma amici, mai. Nessuna complicità. Se ci penso davvero, ci sono mille cose che lui non sa di me, che non gli ho mai detto e che, probabilmente, a questo punto, non gli dirò mai.

Mi manca. È fuori come sempre da stamattina eppure mi manca. E mi mancherà per il resto dei miei giorni se non riuscirò a convincerlo, se non riuscirò a dirgli ciò che lui si aspetta da me, ciò che non gli ho mai detto.

Apparecchio la tavola con cura.

Accendo una candela di semplice cera bianca, non voglio che un altro profumo si mischi con quello del piatto di gnocchi e con il nostro.

Abbasso la luce perché i colori della stanza non ci distraggano.

Mi vesto e mi pettino con cura. Orecchini di perle e scarpe con il tacco, un trucco leggero.

Eccolo.

È arrivato. Mio marito è arrivato.

«Che buon profumo» dice, senza sorridere.

Resto sulla porta della cucina, ferma, immobile. Vorrei abbracciarlo, vorrei tenerlo stretto e invece resto lì, lo stipite mi tiene in piedi e la nonna mi parla ancora –metti gli gnocchi nell’acqua non prima che il tuo ospite si sia seduto e abbia spiegato il tovagliolo perché l’attesa è importante ma non può essere troppo lunga-.

Invece Enrico ha aspettato, nove anni di matrimonio e due di fidanzamento. Abbastanza, troppo, e adesso lo perderò. Forse no, forse la nonna ha ragione, forse ho capito cosa voleva dire, ho scoperto il suo ingrediente segreto.

Enrico si siede e stende il tovagliolo sulle ginocchia, la testa china e gli occhi spenti.

Io lascio cadere gli gnocchi nell’acqua bollente, il ragù è ancora nella pentola e aspetta, come me, come Enrico.

Con una veloce giravolta ecco il primo gnocco venire a galla e poi un altro e un altro ancora, tanti quante le parole che avrei dovuto dire a mio marito in tutti questi anni e che non ho detto.

E ne bastavano solo due.

Solo due.

E allora due sono gli gnocchi che metto nel suo piatto, li copro con una cucchiaiata di ragù e raggiungo il tavolo.

Lui guarda il piatto davanti sé e poi guarda me con aria interrogativa.

«Solo due, come le parole che devo dirti: Ti amo».

Lui abbassa la testa, toglie il tovagliolo dalle gambe, sposta la sedia su cui è seduto, si alza, lentamente, mi guarda, sorride e mi abbraccia.

«Possiamo cominciare da qui» dice.

Sì, possiamo ricominciare da qui e dall’ingrediente segreto di questi gnocchi: l’amore.


Commenti: 23 (Discussione conclusa)
  • #23

    Mirella Paracchini (mercoledì, 28 settembre 2011 21:19)

    Non arei mai immaginato che due gnocchi potessero farmi venire i brividi .Complimenti!
    Mi piace!

  • #22

    Rossana (lunedì, 26 settembre 2011 17:17)

    Mi piace... eccome!

  • #21

    Mick (lunedì, 26 settembre 2011 09:18)

    Bel racconto davvero.Mi piace!!

  • #20

    Anna Molinari (domenica, 25 settembre 2011 22:14)

    E' una storia tenerissima...

  • #19

    Zia Lety (venerdì, 23 settembre 2011 11:16)

    Bello Bello Bello..... il giusto mix per un'inguaribile romantica golosa di gnocchi!!!!!
    COMPLIMENTI!!!!!!

  • #18

    donatella (lunedì, 19 settembre 2011 15:10)

    mi hai fatto venire le lacrime agli occhi!!! MI PIACE

  • #17

    ileana (domenica, 18 settembre 2011 19:12)

    mi piace tantissimo!

  • #16

    Val (domenica, 18 settembre 2011 19:10)

    MI PIACE

  • #15

    VALERIA (domenica, 11 settembre 2011 22:31)

    MI PIACE

  • #14

    Bruno Moretti Turri (sabato, 10 settembre 2011 22:49)

    MI PIACE

  • #13

    Raffaella (sabato, 10 settembre 2011 18:15)

    Ops, dimenticato!

    MI PIACE MOLTISSIMO

  • #12

    Raffaella (sabato, 10 settembre 2011 18:08)

    Patrizia, dalla tua penna escono immagini, sentimenti e personaggi indimenticabili, penellati con la grazia e la delicatezza della tua scrittura. BRAVA

  • #11

    ambretta (sabato, 10 settembre 2011 10:36)

    mi piace

  • #10

    ambretta (sabato, 10 settembre 2011 10:33)

    Complimenti Patrizia, bellissimo racconto

  • #9

    Lilli (sabato, 10 settembre 2011 08:24)

    Mi piace. Sei proprio brava. Sei riuscita a tenermi qui con due gnocchi.

  • #8

    luciana (venerdì, 09 settembre 2011 12:19)

    Premetto....Non so scrivere, ma "mangio" libri...da sempre... Mi è sembrato un pò lunghino, ma è di una dolcezza infinita. Il "guardarsi dentro", capire quali sono state le "parole non dette" in un rapporto, è basilare. Il sentimento da parte dell'altra persona e la convinzione che tutto può ripartire. Da qui. Brava.

  • #7

    Alessandra M. (giovedì, 08 settembre 2011 13:10)

    ....dimenticavo : MI PIACE!

  • #6

    Alessandra M. (giovedì, 08 settembre 2011 13:03)

    ...non sapevo che una mia ex concittadina (e compagna di scuola di mio fratello) fosse così brava!
    complimenti!

  • #5

    Pierangela (mercoledì, 07 settembre 2011 15:41)

    MI PIACE....e anche tanto!! Complimenti!!

  • #4

    Patty (lunedì, 05 settembre 2011 14:17)

    uaoo.. mi piace.. sì sì, mi piace.. romantica al punto giusto e mi stavo anche commuovendo!!

  • #3

    lucia (giovedì, 01 settembre 2011 22:21)

    Mi piace tantissimo

  • #2

    Cinzia (mercoledì, 31 agosto 2011 22:58)

    Adoro il lieto fine: MI PIACE

  • #1

    Sabrina (mercoledì, 31 agosto 2011 20:42)

    Patrizia non sbaglia un colpo. Splendente gioco di rimandi fra la preparazione della ricetta e la ricetta dell'amore. MI PIACE


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